Under the auspices of the Secretary General of the Council of Europe, Ms Marija Pejčinović Burić
Under the auspices of the Secretary General of the Council of Europe, Ms Marija Pejčinović Burić

Redazione

La Corte Europea sull’ergastolo ostativo: la sentenza sul caso Viola 2 c. Italia

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata a proposito della compatibilità tra l’art. 3 CEDU ed il regime di ergastolo ostativo risultante dal combinato disposto di cui agli artt. 4-bis e 58-ter O.P.

Sulla scia di una giurisprudenza che può ritenersi consolidata già dal caso Vinter ed altri c. Regno Unito [GC], n. 66069/09, 130/10 e 3896/10, sentenza del 09.07.2013, la Corte ha affermato che privare il detenuto di qualsiasi possibilità di rilascio anticipato o di rivalutazione circa l’opportunità di prosecuzione della detenzione in carcere si pone in contrasto con la funzione rieducativa e risocializzante della pena.

L’impianto normativo disciplinante l’ergastolo ostativo, di conseguenza, finisce col frustrare la dignità del detenuto in aperto contrasto con l’art. 3 CEDU.

Riservandoci di meglio approfondire la questione nell’ambito della parte speciale del Corso Robert Schuman 2019, riportiamo di seguito un breve sunto dei fatti e della motivazione della sentenza accennata.

 


AFFAIRE MARCELLO VIOLA c. ITALIE (N° 2)

Ricorso n. 77633/16 – Sentenza (merito ed equa soddisfazione), Prima sezione, 13.06.2019

Il fatto

Il ricorrente, Sig. Marcello Viola, cittadino italiano nato nel 1959, attualmente detenuto a Sulmona, fu coinvolto in una serie di scontri tra due clan di mafia rivali, tra la metà degli anni ’80 fino al 1996.

Il 16 ottobre del 1995 la Corte di Assise di Palmi condannò il Sig. Viola alla pena di 15 anni di reclusione per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso in relazione ad episodi verificatisi tra il 1990 ed il 1992. La Corte di Assise di Appello confermò la sentenza, riducendo tuttavia la pena ad anni 12 di reclusione. Il Sig. Viola non propose ricorso per Cassazione.

Nel settembre 1999 la Corte di Assise di Palmi condannò il Sig. Viola all’ergastolo per diversi reati comunque connessi all’organizzazione mafiosa. La sentenza passò in giudicato. Il 12 dicembre 2008 la Corte di Assise di Appello in funzione di giudice dell’esecuzione, rideterminò la pena complessiva da espiare fissandola in quella dell’ergastolo con isolamento diurno per anni 2 e mesi 2.

Il ricorrente, successivamente, ha chiesto per due volte la concessione di permessi premio. La prima istanza fu rigettata dal Giudice dell’esecuzione sul rilievo dell’ostatività dell’ergastolo comminato al Sig. Viola e dell’assenza di attività di collaborazione con l’autorità giudiziaria. Il 29 novembre 2011 fu rigettato anche l’appello presentato dal ricorrente, evidenziandosi, nell’occasione, come non fosse stata dimostrata la rottura di ogni legame tra il soggetto e la consorteria criminale di provenienza e come, dall’osservazione effettuata in carcere, non emergessero segnali di concreta riflessione e pentimento sui propri trascorsi criminali.

La seconda istanza fu rigettata per le medesime ragioni.

Nel marzo 2015 il Sig. Viola presentò istanza di liberazione condizionale. Con sentenza del 26.05.2015 la Corte di Appello rigettò l’istanza evidenziando come la liberazione condizionale fosse comunque subordinata alla collaborazione con l’autorità giudiziaria ed alla positiva dimostrazione della rescissione di ogni legame con la criminalità organizzata. Con sentenza del 22.03.2016 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Sig. Viola.

 

Sulla violazione dell’art. 3

La Corte osserva che il regime applicabile alla pena comminata al ricorrente risulta dal combinato disposto dell’art.  22 c.p. e degli artt. 4-bis e 58-ter della legge sull’ordinamento penitenziario.

Tali disposizioni disciplinano forme differenziate di trattamento per i detenuti, con l’effetto di precludere il godimento di permessi premio ed ogni altra forma di attenuazione o riduzione della pena per tutti coloro che non abbiano attivamente collaborato con l’a.g.

Le forme di tale collaborazione sono previste all’art. 58-ter O.P.; il condannato deve fornire alle autorità informazioni decisive e rilevanti al fine di prevenire le conseguenze dei reati già commessi e deve assistere gli inquirenti nel perseguire ulteriori fatti criminosi ed i relativi autori. I condannati sono esonerati da tale obbligo soltanto nell’ipotesi in cui la collaborazione risulti impossibile od inesigibile e sia dimostrata la caducazione di ogni collegamento con la criminalità organizzata.

Al fine di stabilire se l’ergastolo in questione fosse riducibile o meno, e se offrisse una prospettiva di liberazione anticipata o quantomeno di riesame delle condizioni che lo hanno determinato, la Corte ha dunque concentrato la propria attenzione sull’unica opzione possibile per il Sig. Viola, ovvero la collaborazione con l’A.G.

La Corte riconosce che le autorità nazionali lasciano i condannati liberi di scegliere se collaborare o meno. Tuttavia, emergono dubbi sul fatto che tale scelta sia effettivamente libera e che sia appropriata l’equazione tra mancanza di collaborazione e pericolosità sociale del detenuto.

La Corte riconosce che il Sig. Viola ha deciso di non collaborare. Secondo quanto riferito da una parte terza intervenuta nel giudizio, la ragione della mancata collaborazione da parte dei detenuti va rintracciata sempre nel timore che costoro nutrono per l’incolumità propria e dei familiari. Da tale circostanza, la Corte deduce dunque che l’assenza di collaborazione non corrisponde sempre ad una libera scelta operata dal detenuto né, d’altro canto, può essere automaticamente considerata sintomatica della permanenza di legami con la criminalità organizzata.

D’altronde, prosegue la Corte, nemmeno può escludersi la situazione inversa, ovvero che un detenuto collabori attivamente senza tuttavia rescindere i legami con il clan di provenienza e, quindi, senza che vi sia alcuna effettiva riabilitazione del soggetto.

Considerare la collaborazione come l’unico indicatore della cessazione dei rapporti con la criminalità organizzata, e dunque della sua riabilitazione, del resto, impedisce di considerare altri fattori pure rilevanti. Non si può escludere che la rescissione di tali legami sia dimostrabile con mezzi diversi dalla collaborazione di giustizia.

La Corte sottolinea inoltre che il sistema penale italiano prevede diverse e progressive forme di reinserimento sociale – lavoro all’esterno, permessi premio, liberazione condizionale, semilibertà.

Il Sig. Viola, tuttavia, non ha avuto tali opportunità, e ciò nonostante la relazione sull’osservazione in carcere depositata in occasione dell’istanza di permesso premio desse atto di un cambiamento positivo nella personalità del detenuto.

Il ricorrente, inoltre, ha evidenziato come non fosse mai stato destinatario di provvedimenti disciplinari e che, di conseguenza, avrebbe cumulato ben 5 anni ai sensi dell’art. 54 l. O.P.; tuttavia, non ha mai potuto godere di tali benefici in ragione del semplice rifiuto di collaborare con la giustizia.

La Corte, sul punto, evidenza come la personalità di un detenuto non rimanga ferma al momento della commissione del delitto, potendo invece evolvere positivamente nel corso dell’espiazione della pena proprio in conseguenza del processo di risocializzazione. Per far ciò, tuttavia, è necessario che il detenuto sappia cosa fare per cercare di ottenere un’attenuazione o una riduzione della pena che sta espiando.

Da ultimo, la Corte nota come la mancanza di collaborazione faccia sorgere in astratto una presunzione assoluta di pericolosità che, di fatto, ha privato il ricorrente di ogni prospettiva concreta di liberazione anticipata.

Continuando a ritenere valida l’equazione assenza di collaborazione = pericolosità sociale, le autorità nazionali hanno finito col valutare la pericolosità del soggetto al tempo in cui il crimine fu commesso, senza prendere in alcuna considerazione il processo di rieducazione ed i progressi fatti dalla persona durante l’espiazione della pena.

Tale presunzione di pericolosità, inoltre, ha impedito ai Tribunali nazionali di valutare nel merito le istanze di liberazione condizionale avanzate dal ricorrente, precludendo ogni considerazione sull’eventuale cambiamento della personalità del soggetto ed il progresso nel cammino di riabilitazione, sino al punto da non poter più ritenersi la detenzione giustificata.

La Corte riconosce che i fatti per i quali il Sig. Viola è stato condannato sono di particolare gravità e riguardano un fenomeno – la mafia – particolarmente pericoloso per la società. Tuttavia, gli sforzi intrapresi dallo Stato per combattere tale fenomeno non possono comunque derogare le disposizioni di cui all’art. 3 CEDU che proibisce in termini assoluti i trattamenti inumani o degradanti. Di conseguenza, la natura dei crimini commessi dal Sig. Viola è irrilevante ai fini della valutazione della violazione dell’art. 3.

La Corte ha evidenziato che è incompatibile con la tutela della dignità umana – che costituisce il nucleo fondante del sistema della Convenzione – privare le persone della libertà personale senza lottare per la loro riabilitazione e senza offrire loro alcuna concreta possibilità di riguadagnare, un giorno, la libertà.

Pertanto, la Corte ha concluso che l’ergastolo comminato al Sig. Viola, in forza dell’art. 4-bis O.P. – ergastolo ostativo – ha eccessivamente ristretto le prospettive di rilascio e la possibilità di riesaminare l’opportunità stessa della detenzione. Di conseguenza, la condanna all’ergastolo ostativo non può essere considerata come “riducibile” ai sensi dell’art. 3 CEDU.

La Corte conclude dunque che i requisiti di cui all’art. 3 non sono stati rispettati.

Ciò nonostante, la Corte specifica come l’accertamento della violazione non possa essere interpretata come implicante la prospettiva di un rilascio imminente per il detenuto.

Sull’art. 46

Gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento nello stabilire la durata appropriata delle sentenze di condanna a pena detentiva, ed il solo fatto che una condanna sia scontata per intero non implica che, in astratto, la stessa non fosse riducibile. Di conseguenza, la possibilità di riesaminare una condanna all’ergastolo dovrebbe consentire al detenuto di avanzare istanza per il rilascio ma non necessariamente di essere in concreto liberato se costituisce ancora un pericolo per la società.

 


Sentenza CEDU – Viola 2 c. Italia – Sentenza integrale [FRA]