Diceva Friedrich Nietzsche “le convinzioni sono carceri”, ed è in questa prospettiva che per me il Corso Schuman ha rappresentato la chiave del carcere.
Si tratta di un master che per certi versi rappresenta davvero una pietra miliare nella formazione del giurista; fornisce gli strumenti indispensabili ad ammettere una alternativa allo schema classico del sillogismo giudiziale; ciò sulla base dei 59 articoli che compongono la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, davvero un’inezia se paragonata alla ipertrofia normativa nostrana.
Eppure in quei 59 articoli c’è tutto, riempirli è compito degli operatori. Un corpus normativo ove ogni singola parola ha una nozione ed una valenza autonoma, che prescinde dall’ermeneutica della giurisdizione domestica e che, tuttavia, ad essa si applica.
In quest’ottica il Corso Schuman trasmette ai partecipanti gli input di analisi e di ragionamento necessari per approcciare allo spazio libero lasciato dai principi generali, in una visione di giustizia più che di legalità.
Questa impostazione mi ha portato ad esaminare i casi concreti sottoposti dalla quotidianità professionale in una prospettiva diversa, quello che non è secondo i canoni normativi nazionali può esserlo secondo i canoni convenzionali.
Il corpo docente è di livello assoluto, 15 giorni di lectiones magistrales condotte con professionalità e disponibilità, affrontate con taglio pratico ma allo stesso tempo orientate al ragionamento.
Si è guidati, con padronanza assoluta, giorno dopo giorno, ad abbandonare il porto sicuro del formalismo; si tende ad un approccio diverso, contenutistico, di sostanza.
Durante il corso, inoltre, ho avuto la possibilità di conoscere colleghi brillati e preparati, provenienti da esperienze e specializzazioni differenti, con i quali ho avuto modo di intrattenere confronti conviviali e stimolanti.
Nota da valorizzare è lo scenario: Strasburgo è una città meravigliosa, si respira il sentimento europeo. In un certo senso ci si sente a casa.
In conclusione il Corso Robert Schuman segna il modo di vivere la professione, se ne esce con la ferma convinzione che la figura del giurista burocrate debba lasciare il posto al giurista pensante, critico, fantasioso e creatore del diritto.